Riccardo difficilmente lo vedrete con la divisa da pilota, pantaloni scuri e camicia bianca a maniche corte su cui brillano le striscioline dorate delle insegne di comando. Più facile trovarlo a bordo di una barca a saltare in mezzo ad un branco di squali. Il primo è il suo mestiere, la seconda è una smisurata passione imposta dalla innata curiosità di conoscere. Conoscere gli animali più antichi del Pianeta presenti nelle acque di questa Terra da 350 milioni di anni. E quando afferma con enfasi questa data, calca sul 350 sbarrando gli occhi. Noi umani da molto meno e siamo passati attraverso vari mutamenti evolutivi. Loro, gli squali, no. Sempre uguali, forse più grandi e grossi ma sempre uguali.(anche gli squali si sono evoluti in passato da 350 a 135 milioni di anni poi meno) Perché? si è chiesto Riccardo. Sono passati attraverso ere senza estinguersi, la natura non è riuscita a cancellarli, sono passati immuni. Ci sarà un motivo a tutto questo?

Da questa semplice domanda che inizia la sua straordinaria avventura che lo porta ad essere non come si pensa un cacciatore, uno showman, un equilibrista tra vita e morte, ma un vero e proprio ricercatore che sperimenta su se stesso le teorie sui comportamenti di questo animale considerato tra i più pericolosi e aggressivi, e meno conosciuti, di tutti i mari, semplicemente – dice lui – per capirlo. Squalo, classificato, come un assassino seriale, senza scrupoli, azzannature famelico, infaticabile nuotatore, abitante di ogni angolo di mare, acque dolci comprese. Rispondere perché si sia infilato in questa sorta di tunnel non è facile. Almeno per chi ha sempre osservato questi abitanti del mare con un certo rispetto oltre che da una certa distanza. Oltre la passione c’è la voglia di conoscerlo sempre più e da più vicino, di comprendere cosa pensa, se pensa, di capire se davvero il suo comportamento è dettato da puro istinto oppure da scelte. Un cammino, quello di Riccardo- al secolo Sturla Avogadri, ferrarese di nascita, sardo di adozione –  irto di insidie dove è facile scivolare, compromettersi, essere deriso. Da chi pensa di saperne di più – e qualcuno  esiste sempre-.


L’ho incontrato casualmente presso il diving center del Viva Fortuna di Freeport, Grand Bahama ospitato dal Reef Oasis Diving Center. Non lo conoscevo, il suo viso mi era famigliare. Avevo letto di lui quando la cronaca quotidiana aveva riportato che per una parassita preso da uno squalo la sua vita era appesa ad un filo. Altro non sapevo se non che “giocasse” con questi bestioni con la bocca irta di denti. Gioco che personalmente non comprendo oltre che non approvare. Ma questa è una riflessione del tutto personale.

Dopo una chiacchierata lunghissima ho capito  che questo giovanissimo signore – non ha niente a che fare con i funamboli da circo marino né con gli ipnotizzatori né con coloro che richiamano i selacei con il cibo a favore di spettatori paganti.

E’ una specie rara di persona che ha una esclusiva capacità di corrispondere le proprie emozioni con quella degli squali. Ci sono persone così sulla faccia della terra che lo fanno con molte specie di animali selvatici. Ne hanno parlato i quotidiani, ne hanno fatto documentari suggestivi, sono rari ma ci sono. Riccardo potrebbe essere incasellato tra questa sorta di sperimentatori, un po’ unici che hanno voluto spingersi “oltre” per capire ma anche per scoprire.

(testo per gentile concessione di SUB/ di Enrico Cappelletti)

Perché? Ho chiesto, con il sottinteso “lo fai“.
Domanda stupida lo ammetto. Riccardo sorride, se lo sarà sentito chiedere mille volte, ma chiederlo è stato più forte di me. Volevo capire cosa spinge un uomo a correre reali pericoli, lo avrei chiesto anche ad uno scalatore o ad un velista in solitario. La risposta non è solo complessa ma sfiora aspetti molto personali.
Comincia da molto lontano. Atollo di Ranghiroa, Polinesia. Sono anni in cui la biologia marina è sconosciuta, lui tredicenne, nuota tra i pinna nera della barriera. Non è impaurito è solo incuriosito da questi animali che sono mitizzati come mangiatori di uomini. Si accorge che sono forse più curiosi di lui. E’ qui scatta la prima molla la curiosità di capire perché. Poi cresce fino al giorno che gli capita di fare un viaggio in Sud Africa. Un modesto annuncio di un giornale locale offre la possibilità di poter osservare da vicino il bianco. Riesce in un modo raffazzonato a vedere qualche esemplare, la curiosità aumenta, la voglia anche. E’ la molla che lo spinge verso quella che potrebbe la sua seconda specializzazione, anche se commenta non “paga molto”. Ripaga, in compenso, perché oltre ai tuffi in mare alla vicinanza di questi straordinari animali c’è lo studio sui libri- ne ha raccolto anche a migliaia tra cui anche testi molto antichi- che trattano di questo argomento. Legge di tutto, acquista quel che si trova di pubblicato, modesto per quegli anni.
Poi- racconta- era uscito il film di Spielberg Lo Squalo(1975)che in modo spietato racconta come un bianco feroce abbia terrorizzato una intera comunità nel nord degli Stati Uniti.

Il film è stato tratto dal libro di Peter Benchley scritto sulla base dalle cronache locali che in modo dettagliato davano informazioni giornaliere di morti dovute ad attacchi di squali. All’epoca dovette addirittura intervenire il Presidente degli Stati Uniti con l’ordine di sterminare con qualsiasi mezzo gli squali che infestavano quell’area di mare. Era nata una leggenda, quella dei feroci predatori nemici giurati dell’uomo. Il pericolo numero uno dei mari campeggiava sui manifesti di tutto al mondo. Fu un successo editoriale e cinematografico, fu un disastro per quella specie animale. Riccardo si disse che non era così che stavano le cose, già aveva compreso, e si trovò invischiato fino alla collo nella sua ricerca che prese un verso professionale. Ma era una cosa tutta sua, come se fosse una sorta di ossessione- senza offesa- un po’ come ai tempi faceva un altro “pazzo buono” il mitico Jacques Mayol.
Ho lavorato con lui molti anni, con lui ho capito molto del mare ma mai perché si spingesse sempre più a fondo. Non era per lo sport, non per i quattrini, neppure per la celebrità. Era una sua “cosa”, qualcosa che non rivelò mai ad alcuno. Una volta sola mi disse che voleva conoscere meglio l’intimità del mare come possono fare solo i delfini. Non risposi, forse perché non capivo.
Il comandante Riccardo Sturla Avogadri è su questa linea. Certo tiene conferenze, va a cercare squali dove sono, li osserva, ne trae conclusioni, le studia e poi mette in pratica. Non per mettersi stellette sul petto ma per aumentare la conoscenza di questo animale che la scienza ha compreso – data la sua complessità biologica- solo parzialmente. E come? Chiedo. Un animale di questo genere su un tavolo di un biologo può svelare i meccanismi interni, cervello, occhi intestini ma non movimenti, nuoto, aggressività. Per capire bisogna sporcarsi le mani. E lui se le sporca affrontandoli nel loro ambiente. Li maneggia, li rivolta sottosopra, li tocca, sfrega musi e corpi, sente e percepisce il loro stato d’animo e ne approfitta per prendere appunti. Non poi così strano, solo complicato e difficile perché è un animale che può anche essere imprevedibile.

Non per lui, ovviamente. Conosce così bene i loro movimenti che percepisce chi del branco che gli gira intorno è il capo, il più forte il più scaltro, il più vigliacco. Poi sceglie quello che può essere più utile, lo attira, meglio lo richiama mai porgendo del cibo che comunque è la ricompensa che ogni animale si aspetta dopo aver eseguito ciò che gli è stato richiesto. E’ un richiamo naturale, basato sulle intenzioni dell’uno e dell’altro un messaggio a doppio senso: da una parte vieni che non hai da temere, dall’altra vado perché c’è da fidarsi. In parole povere è così anche se in pratica è molto più complesso. Quasi un messaggio telematico. Il bestione si pone ai suoi piedi, lui lo accarezza – come rimane un segreto- e la bestia va in catalessi. Prova un tale piacere da dimenticare di essere un feroce mangiatori di uomini. Anzi accetta le coccole umane, le gradisce e si fida – quasi ciecamente – di chi lo sfrega con il guanto di acciaio. Questa la prassi standard, da cui in poi inizia l’ignoto e bisogna scoprire quale può essere la reazione facendo altre coccole o altri movimenti. Va avanti per tentativi, annotando quanto accade. Ora è arrivato a mantenere fra le proprie gambe anche quattro cinque esemplari che come cuccioli di una nidiata stanno buoni buoni posati sulla sabbia mentre le sue mani metalliche li palpano. Tornando sempre nel medesimo posto, ma non sempre, li riconosce e loro riconoscono lui. Hanno come tutti gli animali segni distintivi, piccole ferite, macchie. E lui ora li richiama con il solo schioccare delle dita. E loro si concedono. Ma capita che il luogo sia diverso, quale Tiger Beach, quell’angolo di mare a nord dell’isola, dove non solo i tigre abbondano. Una girandola incredibile di bestie enormi. Eppure anche qui prima cosa è l’osservazione poi uno di loro casca nella sua rete.avogadri_squalo_bahamas4 Posso farlo anch’io, domando. Ride, poi per non farmi sentire un cretino, risponde certo con un po’ di allenamento. No, sono convinto di no, neppure con l’allenamento perché quello che in più ha lui è il far sapere che è uno di loro. Assurdo, ma è così. Io sarei solo uno che allunga cibo come ricompensa. E come ti difendi? Prevedendo le loro mosse, sapendo che ti potrebbero attaccare sempre sul lato scoperto che tu non concedi. Ma non lo fanno per il semplice motivo che potrebbe andare male anche a loro. Ogni animale uccide per cibarsi, è una legge. Non fa tragedie se manca la cattura, mangerà un altro giorno. Ma quando attacca sa che avrà la preda senza alcun rischio perché la più piccola ferita subita è per lui la morte.avogadri_tigre_bahamas2 Quindi sono molto cauti. Il torpore in cui cadono può essere più o meno lungo. Non tutte le specie accettano la “manipolazione”, qualcuno si rifiuta e questo fa parte della sperimentazione, per capire il motivo. Oramai ha raggiunto il punto che sa che gli squali osservano solo i movimenti delle sue braccia. Sono indicazioni per avvicinarsi, di fiducia. Li tranquillizza, poi li rivolta e li sposta spesso anche verso la superficie per farli tastare agli snorkelisti impauriti. Oppure sta provando a fornire loro aria attraverso la bocca. Se il soffio che esce dall’erogatore è troppo forte lo squalo lo rifiuta e risputa l’aria fuori dalla bocca, ma se dolce e regolare la espelle dalla prima fessura branchiale. In pratica ne ha respirato una parte. Qualche tempo fa finì in fin di vita per un parassita preso durante uno dei suoi trattamenti subacquei. Fu salvato con molta fatica.aogadri_bocca_squalo
Ora parte del suo tempo lo impiega a catturare i piccoli animali che infestano corpi e bocche dei suoi amati animali. Chiude i parassiti in vasetti che vengono inviati a laboratori che li studiano. Da cui si possono trarre altre conclusioni ed arrivare in un punto dove la scienza non è ancora giunta. E per il futuro? Tutto è possibile, le grandi scoperte- mi spiega – sono avvenute tutte per caso. Chissà, si potrebbe trovare addirittura un ingrediente capace di tenerli lontano dagli uomini oppure chissà cosa.

Chi è Riccardo
Nel 2004 ha registrato a Londra il metodo Tecnica di Relax collaudato alle Bahamas su come attirare gli squali. -Creatore del più grande museo mostra acquario al mondo nel campo degli squali a Jesolo Lido con 40 squali vivi e oltre 10.000 pezzi da collezione -Creazione dei segnali identificativi standard sugli squali presentati al convegno Europeo di Montecarlo nel 2005 -Pubblicazione del libro Shark Awareness per i corsi Shark Awareness- Registrazione della specialità Shark Awareness per le più importanti didattiche subacquee, inclusa la PADI. Descrizione sui metodi di marcatura degli squali “a contatto” e dei relativi moderni dispositivi di marcatura -Creatore con l‘’Università della Tuscia per un database delle specie protette Cites e responsabile incaricato dal Ministero per l’’addestramento dei comandanti d’Italia della Guardia Forestale per il riconoscimento delle specie protette -Collaboratore del programma Tv Il Pianeta delle Meraviglie condotto da Licia Colò -Nell’autunno 2011 è stato colpito, dopo un viaggio in Sud Africa, da una strana malattia che ha preso il fegato. Probabile un batterio preso dal contatto con la coda di uno squalo. Dopo parecchi interventi è riuscito a cavarsela -Tutte le iniziative di Riccardo Sturla si trovano su facebook