Le barriere coralline non sono rocce multiformi e multicolore, sono organismi viventi, colonie di migliaia di esseri che esistono, proliferano e alla fine si sviluppano in enormi ammassi duri che sono in grado di contrastare la violenza naturale del mare.


Creano ambienti unici e molto particolari proteggendo isole che altrimenti, a causa dell’erosione, sarebbero finite sott’acqua da tempo, e forniscono stabilità, cibo e casa a tante altre forme di vita. Cose dette e stradette, che tutti coloro che vanno sott’acqua dovrebbero aver oramai appreso.
Eppure non è così. Perché?
Per il semplice motivo che in tutte le destinazioni più famose subacquee, che solitamente sono sparse lungo la linea tropicale del globo, si vedono ancora subacquei che scalciano con le loro pinne, strusciano, si appoggiano e qualche volta perfino raccolgono, se non strappano, frammenti di corallo vivo. Tutti questi atteggiamenti danneggiano la vita sottomarina, ma forse non ci se ne rende conto. Tanto, si pensa, è solo un “piccolo danno”.


Ma un danno, seppur di “lieve entità”, se moltiplicato per migliaia di volte finisce per danneggiare in maniera irreparabile l’ambiente. Alle nostre azioni vanno aggiunte quelle che ciclicamente apporta la natura stessa e così vediamo che barriere coralline grandi, possenti ed estese, come quella australiana, vanno in malora. Si sbiancano e si frantumano, per poi lasciare alle correnti e alle onde il compito di spazzare via ciò che rimane.
Di sicuro tutti i mali del mare non possono essere ricondotti ai sub poco esperti, c’è ben altro, ma se partiamo dal nostro piccolo è già un buon inizio.
La perdita delle barriere coralline potrebbe portare a lungo termine effetti gravi sull’intero ecosistema con drastiche modifiche delle strutture esistenti e la perdita delle biodiversità che vengono accolte in queste strutture sottomarine.
Noi umani amiamo toccare, sentire gli oggetti sotto i polpastrelli, ma in alcuni casi questo ancestrale modo di conoscere le cose non va fatto. I coralli non devono essere toccati.

Foto di Rich Carey

Avvicinatevi con la maschera fino a pochi centimetri, se siete in grado di farlo, ma mani dietro la schiena. Lo insegnano perfino nei corsi sub.
Si pensa che i coralli siano fatti di materiale duro e resistente e che la loro abbondanza sia sinonimo di ricostruzione immediata. Sono al contrario delicati, fragili e sottili e basta un tocco per frantumarli. Inoltre toccandoli si rischia di asportare la loro protezione naturale e diventano facile preda di infezioni. Un quarto della popolazione mondiale madreporica è già scomparsa, mentre il resto è super controllata al fine di preservarla intatta ed in vita.

Quindi mani e braccia dietro la schiena oppure conserte. Ma in questa posizione spesso si vede gente rotolare su se stessa e precipitare sul fondo per poi finire a sbattere sui coralli sottostanti. Per questo, se si appartiene a questa categoria di inesperti, sarà meglio fare un po’ di pratica in acqua poco profonda e con fondali di sabbia. Mantenersi in perfetto equilibrio natatorio in immersione è una cosa che si impara ed è semplice, non vi è una regola fissa, dipende dall’attrezzatura indossata, da come si porta la zavorra, da che pinne si usano, basta solo fare qualche prova. Argomenti consumati oramai, di cui si sono spesi testi su testi, addirittura manuali ma che poi non si mettono mai in pratica. In alternativa al mare, il controllo della galleggiabilità meglio noto come “assetto”, il nuoto subacqueo, il controllo della respirazione, si possono apprendere in piscina con un po’ di esercizi, niente di ché.

Per la consapevolezza invece, non è necessario neppure andarci, in piscina.
Un suggerimento: comprendere cos’è un corallo altresì noto come madrepora; capire che il nostro impatto è dannoso; non toccare il corallo; non raccogliere frammenti; non nuotare troppo vicino se il vostro equilibrio subacqueo è precario; non nuotare vicino al corallo con fruste, erogatori o altro che penzola.
Il termine inglese “coral” viene da noi tradotto in generale come corallo senza alcuna distinzione ma quello di cui parliamo è madrepora ed il termine corallo è improprio per le barriere “coralline”. Il corallo rosso – Corallium rubrum – è una specie endemica del Mediterraneo, ortocorallo della famiglia Corallidae.

Il termine madrèpora invece viene dalla parola francese madrèpore composta da madrè = screziato e pore dal greco poros, ovvero pietra porosa.
I coralli appartengono al phylum dei celenterati, alla classe degli Antozoi, e si possono suddividere ulteriormente osservando simmetria, nematocisti, esoscheletro e tentacoli.
Un gruppo, o per meglio dire un ordine è quello dei madreporari. Sono comuni anemoni di mare, strettamente affini alle Attinie, che però differiscono perché producono uno scheletro di carbonato di calcio, hanno muscolatura meno sviluppata e parete del corpo ciliata. Molte specie sono organizzate in colonie di polipi molto piccoli, in genere 1-3 mm di diametro. Le madrepore hanno forma molto variabile che dipende soprattutto dalle condizioni fisiche e chimiche dell’ambiente in cui vivono. La stessa specie assume più forme a seconda della posizione occupata. La forma può quindi essere di tipo incrostante o globoso in zone con elevato moto ondoso, ramificata o a fungo in acque tranquille.

I santuari dei madreporari, cioè le vaste estensioni di barriere sommerse, a pelo d’acqua o in pareti verticali, si trovano sparsi per il mondo. Sicuramente la Grande Barriera Australiana, nella parte più lontana dalla costa, accessibile con imbarcazioni da crociera; l’arcipelago delle Fiji, per le vaste estensioni di coralli duri e molli; il Mar Rosso in particolare nella parte meridionale; le Filippine che dispone di circa 400 parchi protetti; l’isola di Palau in Micronesia; le poco visitate Salomone nel Pacifico occidentale; il reef di Palancar dell’isola di Cozumel, Messico; Wakatobi in Indonesia; la Piccola Cayman e Bonaire nei Caraibi.